«La nostra terra è la nostra vita»

Una marcia verso la capitale per urlare i propri diritti. Si sono mobilitati così i gruppi di indigeni che hanno manifestato incamminandosi verso Brasília per chiedere la garanzia statale e l'ampliamento dei loro diritti sulle terre tradizionali come parte della soluzione alla crisi climatica mondiale. Si tratta di un movimento che si è consumato nell'ambito del ventunesimo "Accampamento Terra Libera", il più grande raduno politico e spirituale dei popoli nativi del paese, e ha avuto un occhio di riguardo verso la prossima conferenza delle Nazioni Unite sul clima (Cop30) che si terrà proprio in Brasile, a Belém. Gli indigeni manifestanti hanno voluto sottolineare come le loro terre siano fondamentali in ambito sostenibile: sono aree che coprono il 13 per cento del territorio brasiliano e che svolgono un ruolo fondamentale nella conservazione delle foreste e nella riduzione della deforestazione, un tema delicato in Brasile.
Il movimento dei popoli nativi ha protestato prendendo di mira anche i trasporti commerciali. Il 7 aprile scorso, per esempio, i manifestanti hanno posto fine a un blocco della Trans-Amazonian Highway che andava avanti dal 25 marzo e che ha causato uno stop del trasporto di cereali verso il porto fluviale di Miritituba. Una mossa che mirava a fare pressione sulla Corte suprema affinché venisse annullata una legge del 2023 limitante i diritti territoriali indigeni. La protesta ha provocato ritardi significativi nel trasporto di circa 70.000 tonnellate di cereali al giorno, con un valore stimato di quasi 30 milioni di dollari. Il blocco è stato revocato dopo che i leader indigeni hanno ottenuto un incontro con il giudice della Corte suprema, Gilmar Mendes.
Le manifestazioni che hanno preso di mira la capitale Brasília rappresentano solo una sfumatura del complesso rapporto tra gli indigeni brasiliani e il governo in merito ai diritti di questi gruppi. Uno degli ultimi passaggi che preoccupa le comunità indigene è quello di una recente proposta di un emendamento costituzionale, noto come Pec 48, che potrebbe riaprire la strada al cosiddetto Marco Temporal. Quest'ultima è una teoria giuridica estremamente controversa in Brasile e legata alla demarcazione delle terre indigene: in sostanza, i popoli in questione avrebbero il diritto alla terra da loro occupata solo se vi erano presenti fisicamente il 5 ottobre 1988, data in cui è stata promulgata l'attuale Costituzione brasiliana. Diversi leader indigeni contestano questa teoria dal momento che, secondo loro, non solo calpesta i diritti delle comunità locali ma è uno strumento per favorire gli interessi dell'agrobusiness e dei latifondisti, a scapito della giustizia storica e ambientale. Nel settembre 2023 il Supremo tribunale federale aveva dichiarato incostituzionale la tesi del Marco Temporal, stabilendo che la data del 5 ottobre 1988 non può essere utilizzata come criterio per la demarcazione delle terre indigene. Ma ora si rischia che questo tema torni più attuale che mai.
«La nostra terra è la nostra vita», uno degli slogan che hanno caratterizzato le ultime lotte portate avanti dagli indigeni: una frase che riassume tutto. La marcia che si è consumata nei giorni passati non è stata soltanto una rivendicazione: si è trattato di un gesto di resistenza e di speranza per una questione che rimane centrale anche in molte altre terre del Sud America. Un esempio degli ultimi mesi riguarda il caso "Stati Uniti di Kailasa", nazione fittizia creata dal guru indiano latitante Nithyananda il quale ha tentato di acquisire terre indigene in Bolivia attraverso contratti fraudolenti. Tale luogo avrebbe dovuto godere di tutti i beni offerti dalla terra in questione, con sovranità e autonomia, inclusi diritti sullo spazio aereo e sulle risorse naturali. Il caso è emerso quando il quotidiano boliviano «El Deber» ha rivelato la truffa nel marzo scorso, evidenziando violazioni delle leggi nazionali e lo sfruttamento di rappresentanti indigeni vulnerabili.
Le voci provenienti da questi popoli ancestrali si impongono come richiami urgenti alla coerenza in un mondo che parla sempre più di transizione ecologica, di sostenibilità e di lotta ai cambiamenti climatici. Si tratta di comunità che da secoli custodiscono e difendono gli ecosistemi più minacciati del pianeta. La loro lotta per la vita si inserisce in questo ampio contesto dove la propria tutela incontra sempre più ostacoli.
L'Osservatore Romano - 03/05/2025