In Brasile gruppi indigeni a rischio disgregazione a causa delle miniere illegali

Distruzione ambientale attraverso la deforestazione, contaminazione di fiumi e terreni tramite mercurio e di oli per macchinari, gravi impatti sulla vita di flora e fauna. Sono, queste, alcune delle conseguenze dell'attività mineraria illegale che da decenni tormenta le terre abitate da gruppi indigeni come gli Yanomami e gli Ye'kuana. Il problema diventa sociale nel momento in cui queste comunità stanno vivendo una divisione interna forzata e un totale annullamento delle proprie tradizioni.
«La presenza di queste attività minerarie aumenta anche i conflitti tra i gruppi di indigeni stessi, dal momento in cui alcuni di loro decidono di collaborare con i minatori in cambio di cibo, armi e droghe. Si tratta di una divisione interna che sta cambiando i singoli gruppi indigeni a livello demografico», afferma al nostro giornale monsignor Evaristo Spengler, vescovo di Roirama, stato del Brasile in cui vi è una presenza di indigeni Yanomami e Ye'kuana. «Nel gruppo indigeno è presente un piccolo numero di anziani, portatori di conoscenze tradizionali e di stili di vita consolidati, e un gran numero di giovani influenzati dai nuovi sviluppi, spesso pericolosi per la continuità dello stile di vita indigeno», continua Spengler, trovando nelle nuove abitudini la causa del forte cambiamento che sta avvenendo e che vede anche una diffusione interna di alcol e droghe. Si stima che un alto numero di indigeni non tornerà mai alle proprie abitudini comunitarie. L'impatto ha pesato anche sulla situazione sanitaria: nel gennaio 2023 è stata dichiarata l'emergenza sanitaria pubblica. Si tratta di una divisione sociale interna che sta causando seri danni alla salute degli indigeni: «La presenza di attività minerarie illegali provoca conflitti tra le comunità Yanomami e i minatori aumentando il numero di conflitti tra le comunità e causando la morte di innumerevoli indigeni», sottolinea il vescovo di Roirama.
Il tema delle miniere nelle terre abitate dagli indigeni Yanomami è tornato attuale nelle ultime settimane con la diffusione di alcuni dati per mano di diversi media sudamericani. Notizie confortanti che vedono un importante calo di queste attività minerarie per mano delle iniziative governative e, di conseguenza, anche della fame e delle cattive condizioni che caratterizzano la vita di molti indigeni. «Nonostante gli sforzi che sta facendo il governo federale dall'inizio del 2023, il processo di allontanamento dei minatori dalle terre Yanomami è complesso. Ci sono stati dei risultati positivi poiché i minatori sono calati, ma servono ulteriori azioni intensificate e durature. Si sa che l'attività illegale è diminuita ma la situazione non è tranquilla», afferma monsignor Spengler, che specifica come «le operazioni anticrimine si sono intensificate da aprile 2024» ma che «un gruppo significativo di minatori è ancora presente nel territorio degli Yanomami». Il suo timore, in sostanza, riguarda il fatto che in diverse aree la situazione sia effettivamente migliorata ma che i nuclei ancora dislocati potrebbero espandersi nuovamente da un momento all'altro.
Le soluzioni, secondo il presule, sono varie, tra cui «l'installazione di basi di controllo permanenti sul territorio, il coinvolgimento delle popolazioni indigene nel monitoraggio e nella sorveglianza e il tracciamento della filiera». Uno dei temi più importanti rimane quello di curare quanto già danneggiato. Dunque, «risolvere la situazione di crisi sanitaria e umanitaria estremamente complessa. Ciò ha diverse implicazioni ed è collegato a diverse politiche pubbliche legate alla difesa del territorio, alla sovranità alimentare e alla garanzia nutrizionale, all'assistenza sanitaria nelle comunità, all'organizzazione del Distretto sanitario, al rispetto dei diritti umani e al modo in cui vengono erogate le prestazioni sociali». «Necessario creare, o ristabilire dove esistevano, processi educativi e formativi che rispondano agli interessi e alle esigenze dei gruppi indigeni», prosegue il vescovo di Roirama.
A quasi quarant'anni dalla prima corsa all'oro, che contò oltre 40.000 cercatori alla fine degli anni Ottanta, e dopo aver vissuto momento altalenanti causati anche dall'aumento di costo dell'oro, volto a creare un vero e proprio business (come nel caso del 2010), il problema risulta essere ancora vivo nonostante i concreti tentativi di arginarlo. «Urge un accordo internazionale per contrastare il mercato illegale dell'oro. L'oro che esce illegalmente dalle terre indigene e raggiunge una miniera legale in un altro, viene poi riscaldato ed entra nel mercato legale. Si pensa che il 90% dell'oro che arriva in Europa sia di dubbia provenienza. Dovrebbero esserci maggiori controlli per certificare che quell'oro non sia macchiato di sangue», conclude il presule. Gli ultimi dati positivi in merito alla riduzione di queste miniere illegali accompagnano la speranza di un minore disgregamento interno da parte dei gruppi indigeni presenti sul luogo.
L'Osservatore Romano - 07/02/2025